venerdì 15 maggio 2015

Mao. Come lo vedono gli artisti occidentali?

Uno dei primi artisti ad utilizzare l’immagine di Mao è Salvador Dalí, pioniere del Surrealismo.
Nel 1952, in collaborazione con Philippe Halsman, viene prodotta l’opera Ritratto di Marilyn Monroe come il Presidente Mao
Philippe Halsam, Salvador Dalì, Ritratto di Marilyn Monroe
come il presidente Mao, 1952, stampa in gelatina d’argento,
35.08 x 27.62 cm, 
San Francisco Museum of Modern Art,
(www.thegenealogyofstyle.wordpress.com)
Nell’immagine, la star del cinema Marilyn Monroe e il simbolo della rivoluzione cinese Mao Zedong vengono fusi in un unico personaggio. Di Marilyn si riconoscono le labbra aperte e provocanti, gli occhi dolci, il naso e il celeberrimo neo, divenuto oggetto di moda. Mao mantiene invece la fronte spaziosa, i capelli all’indietro, la classica posizione di lato, leggermente in penombra, con un orecchio in vista e la giacca maoista. Come possiamo notare dunque l’immagine prende gli elementi distintivi e universalmente riconoscibili di due personaggi che, in ambienti e luoghi diversi, sono due icone mondiali. Fondendo due personalità divergenti appartenenti a due mondi lontani non solo geograficamente, ma soprattutto socialmente, i due artisti ci propongono una contraddizione tra Oriente e Occidente, così distanti, eppure paradossalmente vicini abbastanza da poter essere ritratti insieme. L’ironia utilizzata dall’artista si palesa con l’accostamento del carattere mondano di Marilyn, sex symbol in tutto il mondo, con quello politico maoista, anch’esso diffuso e conosciuto. È proprio la diversità dei due personaggi che rende l’opera irriverente e assurda, ma oltremodo spunto di riflessione. I due artisti ci presentano la condizione della fama come un elemento comune a due personaggi reciprocamente molto distanti. Marilyn è un’icona del cinema e della bellezza, mentre Mao ha raggiunto la fama per le proprie idee politiche, ma entrambi godono della stessa condizione rispetto al mondo.
Nel 1971, l‘artista utilizzerà nuovamente l’immagine in una delle copertine realizzate per la rivista Vogue.

Nel 1967 Pierre Argillet, uno dei più grandi collezionisti di opere surrealiste, portò a Salvador Dalí una copia delle Poesie di Mao Zedong che colpì molto l’artista, tanto da comporne una serie dal nome Poème de Mao Tse Tung. La serie, composta da 8 litografie, comprende una raffigurazione che rappresenterebbe Mao Zedong.
L’opera in questione, Ritratto di Mao Zedong, fu eseguita su commissione di Argillet. Come vediamo, la raffigurazione ritrae una figura maschile in posizione eretta e senza testa.
Salvador Dalí, Ritratto di Mao Zedong,
1967, litografia, 95.39 x 29 cm,
 Collezione Argillet, (www.brookgallery.co.uk)

Intorno alla figura, alcuni elementi gli fanno da cornice: scorgiamo uno stilizzato Cupido, degli uccelli, rocce rosa. A catturare la nostra attenzione sono però i raggi che partono all’altezza delle spalle dell’uomo, e che potrebbero ricordarci forse le raffigurazioni di Mao (del medesimo periodo) nell’apice del culto della personalità.
Quando Argillet chiese a Dalí per quale motivo non avesse disegnato la testa al proprio personaggio, egli rispose:
“Vedi, quell’uomo è talmente grande che non mi entra nella pagina!”
Si tratta di un’affermazione ambigua, sia dal punto di vista artistico che politico. L’artista, vuole forse affermare che la personalità di Mao sia talmente grande e “ingombrante”, dal punto di vista politico da non poter rientrare su un solo foglio di carta. Questa supposizione d’altro canto potrebbe avere una connotazione positiva, o negativa. 
Lo stesso mistero gravita intorno ad un’altra opera dell’artista prodotta nel 1971: Autoritratto. Nel dipinto l’artista ritrae se stesso, come suggerisce il titolo dell’opera e la presenza dei baffi allungati, tratto distintivo di Salvador Dalí.
Sovrapposta alla propria immagine, Dalí aggiunge il fotomontaggio di Ritratto di Marilyn Monroe come il Presidente Mao di cui si è già parlato.
Salvador Dalí, Self-Portrait, 1971,
olio su tela, tecnica mista e collage,
118 x 96 cm, collezione privata,
(www.mediation.centrepompidou.fr)
Ancora una volta, l’artista gioca sul ruolo delle icone, utilizzando per la raffigurazione di tali, tratti peculiari dei personaggi che ritrae. L’accostamento di Marilyn, Mao e Dalí aggiunge al contrasto tra capitalismo americano e comunismo asiatico, la terza forza europea, rappresentata dall’artista di origini spagnole. L’accostamento attrice-dittatore-artista suggerisce possibilmente la volontà da parte di Dalí di eleggere se stesso alla posizione di icona mondiale in un’opera in cui culto dell’immagine e culto della personalità si fondono.

I messaggi enigmatici dell’artista, misti all’utilizzo di elementi surreali e riconducibili a visioni, ancora una volta lasciano spazio all’interpretazione del messaggio che si cela dietro all’opera.
L’ultimo lavoro analizzato, Mae West, Marilyn Monroe, Mao, fu prodotto nel 1973 in duecento copie.
Salvador Dalí, Mae West, Marilyn Monroe, Mao,
1973, litografia, 50,5 x 69 cm,
collezione privata, (www.artbrokerage.com)
La litografia in questione, ripropone ancora una volta il contrasto Oriente-Occidente, presentato non attraverso le icone dei due personaggi che vuole presentare (Mao e Marilyn) bensì mediante l’utilizzo delle bandiere americana e cinese, entrambe capovolte. Accanto a queste, l’artista ha inserito alcune scritte: MAE WEST, MARILYN MONROE, MAO e la propria firma.

Si tratta di un’opera stilisticamente diversa dalle altre esaminate, che ricorda forse la pittura murale e che presenta un contrasto ironico e paradossale tra due culture diverse. Sebbene sia difficile comprendere il messaggio di tali opere, si potrebbe affermare che l’artista sia interessato a presentare una realtà divisa a metà, caratterizzata da elementi diversi ma uniti nell’essere icone mondiali. Si tratta forse di una riflessione sul concetto di fama e potere che corre lungo due linee parallele, quello dello spettacolo e quello della politica. L’artista affermerebbe così l’universalità dell’icona: qualsiasi sia il motivo della nostra fama, un’icona politica sarà in ogni caso uguale ad una stella del cinema.

Andy Warhol e il Mao Pop

Se nelle rappresentazioni di Dalí non troviamo delle vere e proprie icone per via della mancanza dei tratti somatici specifici del Presidente Mao, lo stesso non si può dire delle opere di Andy Warhol.
La nascita di una società di massa dominata dal consumismo, determinò negli anni Cinquanta la nascita di un grande movimento artistico, quello della Pop Art, che conobbe diffusione anche attraverso la Biennale di Venezia del 1964. Il termine Pop Art (abbreviazione di Popular Art), coniato nel 1955 dai critici Leslie Fiedler e Reyner Banham, designava le forme visive e musicali connesse al mondo dei mass media e indicava il ruolo dei prodotti di consumo nella vita quotidiana. Fu solo all’inizio degli anni Sessanta che il termine fu utilizzato da Lawrence Alloway con il significato per cui lo conosciamo oggi, riferimento cioè alla nascita di un movimento artistico d’avanguardia . Sebbene non unitario, questo possedeva un comune atteggiamento nei confronti della realtà urbana delle grandi città, dove mass media e pubblicità si trovavano alla base della società dei consumi.
Tra i pionieri di suddetto movimento spicca la figura di Andy Warhol che, attraverso la fotografia, tentò di denudare la nuova società. Prodotti di consumo di massa come Coca-Cola, Campbell ma anche stelle del cinema quali Marilyn Monroe e Liz Taylor, o anche icone politiche, Mao e Nixon, venivano riprodotti in maniera seriale e trasformati cromaticamente al fine di esorcizzare tali immagini o icone .
Andy Warhol, Mao, 1972, tecnica mista, 
208.3 x 154.9 cm, 
Pittsburgh, Andy Warhol Museum, 
(www.warhol.org)

All’inizio degli anni Sessanta Warhol lascia il mestiere di pubblicitario per dedicarsi esclusivamente all’arte. Si tratterà di una scelta determinante dettata dall’idea che la pubblicità altro non è che un elemento subito passivamente che si ripete all’infinito per poi scomparire. La scelta di produrre arte tuttavia, non sarà al fine di ricercare libertà dal mondo dei mass media, ma al contrario di prendere maggiore coscienza del linguaggio artificiale di massa. Da ciò ne conseguirà l’abbandono dell’invenzione e della produzione a favore della riproduzione di oggetti e persone che non sono frutto dell’artista. In sostanza, Warhol si limiterà a riprodurre ciò che già esiste . L’obiettivo dell’artista era dunque quello di affermare la riproducibilità dell’arte, scardinando il concetto di stile.
L’utilizzo di immagini provenienti dai mass media, ripetute al fine di privarle della carica semantica e ridotte a motivi decorativi, aveva pertanto un effetto disorientante sull’osservatore, specie quando si trattava di scene scioccanti quali la serie di sedie elettriche e incidenti stradali.
Nel 1971, Warhol iniziò a mostrare grande interesse per la situazione politica cinese.

Sto leggendo molto a proposito della Cina. Sono così bizzarri. Non credono nella creatività. L’unica immagine che hanno è quella di Mao Zedong. Questo è eccezionale, sembra una serigrafia!”

Sarà dunque l’idea della grande ripetizione iconografica di Mao in Cina che spinse Warhol alla produzione dei ritratti che tutti noi conosciamo. Nel 1972 Bruno Bischofberger commissionò all’artista opere che ritraessero personaggi noti su larga scala proponendo Albert Einstein, Warhol scelse invece il Grande Timoniere, destinato a suo avviso non solo ad essere idolo del momento per via dell’apertura all’America, ma famoso per sempre . Più di duemila dipinti del Presidente Mao furono prodotti solo nel 1972.
Andy Warhol, Senza Titolo, 1972, 
serigrafia, 91,4 x 91,4 cm, 
collezione privata, (www.tate.org.uk)

Come vediamo, l’artista utilizza l’immagine standard di Mao, applicandovi cromature e spiccate saturazioni di colore. La figura del Grande Timoniere viene perciò trasfigurata e, se vogliamo, ridicolizzata e ridotta ad una mera carta da parati. L’elemento che contraddistingue le serie realizzate col volto di Mao è l’introduzione della grafia dell’artista applicata all’immagine . Sempre firmate e cifrate, le copie prevedevano spesso un intervento simile a quello presente nell’opera qui mostrata. L’annullamento dell’azione dell’artista è pertanto solo apparente.
Sebbene ogni lavoro prodotto abbia un valore singolare, è nella riproduzione di tali che leggiamo il vero significato. Innanzitutto, l’intervento di segni grafici e chiazze di colori vivaci che spezzano le linee e annullano i contorni dei volti, liberano Mao dell’austerità a cui si lega la sua figura. Il Presidente assume una luce diversa, divertente ed irriverente, abbandonando per un istante la posizione che occupa a livello globale, diventando anch’esso parte del mondo commerciale.
Warhol utilizza infatti la tecnica e i colori della pubblicità per raffigurare grandi icone, trasformandole anch’esse in merce e prodotti pronti alla vendita. Tutto ciò diventa estremamente ironico se ad essere rappresentato è il simbolo del comunismo cinese. Mao agli occhi degli occidentali, e di Andy Warhol stesso, è l’avversario numero uno del capitalismo, è il simbolo di un mondo che rifiuta il consumismo a favore dell’ideologia socialista. Ma la riproduzione serigrafica della propria immagine lo costringe a rappresentare lo stesso elemento che combatte, diventa avversario e concorrenza di se stesso. Andy Warhol ci presenta una nuova lettura della ripetizione iconografica del Presidente Mao. La grande presenza del volto del Grande Timoniere in Cina abbiamo visto avere scopo puramente propagandistico. Mao rappresenta la luce del socialismo, il sole che illumina la nazione. L’utilizzo che ne fa Warhol è invece completamente diverso. Come si è detto l’artista produce numerose copie dell’immagine, paragonabile ad una produzione industriale o pubblicitaria, rappresentando però non solo oggetti di consumo, ma anche e soprattutto esseri umani. Si tratta dunque di una riflessione sul concetto di fama, al quale Warhol sarebbe stato molto legato. Le star, o Mao in questo caso, vengono mostrate e ripetute a tal punto che rimangono sì più impresse nella mente di chi osserva, ma sono inserite in un vortice di immagini apparentemente uguali tra loro e allo stesso tempo mescolate ad altre raffigurazioni anch’esse moltiplicate che negano loro l’unicità. Propaganda e pubblicità, che si manifestano nella stessa maniera, arrivano così ad assumere due ruoli opposti: esaltazione nel primo caso e svuotamento del personaggio nel secondo.
Andy Warhol, Mao, 1973, tecnica mista, 
448,3 x 346,7 cm, 
Chicago, Galleria 297A, 
(www.newnewyorkers.org)

Il personaggio che per eccellenza incarnava l’opposizione politica, culturale e economica dell’America, veniva così schiacciato dalla mercificazione della sua stessa icona, incarnando quello che Shanes definisce un “capolavoro di ironia” . Ironia rappresentata non solo dalla contraddizione di cui si è parlato, ma dallo stesso uso dei colori, spesso sgargianti, e dalle espressioni che questi conferiscono al volto di Mao. Nell’opera sopra riportata possiamo vedere come Warhol, inserendo macchie di colore sugli occhi e sulle guance, abbia trasformato l’immagine Mao in una donna truccata da circo. Warhol non solo accosta la figura di Mao al consumismo, ma trasforma e radicalizza la raffigurazione del Presidente, che abbiamo visto essere standard fino a questo momento.
Sebbene Mao non fosse stato l’unico personaggio nel mirino dell’artista e le opere non posseggano dunque scopi politici, questa nuova visione del leader non convince il governo cinese, tanto da vietare l’esposizione dei Mao durante la mostra Andy Warhol: 15 Minutes Eternal svoltasi a Andy Warhol: 15 Minutes Eternal svoltasi a Pechino nel 2012 . 

Sigmar Polke ed altri autori

Un altro grande artista del Dopoguerra che scelse Mao come soggetto della propria arte è Sigmar Polke.
 Come Warhol, anche Polke ridurrà al minimo l’importanza dell’autore, risaltando il proprio gusto per la derisione e la comicità .
Sigmar Polke, Kartoffenköppe (Mao & LBJ), 1965,
resina su tela, 91 x 116 cm,
Baden-Baden, Museum Frieder Burda, (www.arttattler.com)
Traendo spunto dalla Pop Art, influenzato dal consumismo e dal socialismo realista, Polke dipinge soggetti semplici su carta, oppure soggetti monumentalizzati su grandi pannelli. Anche lui ripiega poi sull’utilizzo di soggetti tratti dai mass media, producendo caricature o riproduzioni di fotografie ricavate dai quotidiani.
Nel 1965 realizza l’opera Kartoffenköppe (Mao & LBJ). Il lavoro presenta un faccia a faccia tra due grandi personaggi della Storia: Lyndon B. Johnson e Mao Zedong, ritratti come due patate (Kartoffelköppe: lett. Teste di patate). 
Sigmar Polke, Mao, 1972,
misto su feltro,
362,6 x 311,2 cm,
New York, Museum of Modern Art,
(www.moma.org)
Dietro alle linee semplici di cui sono composte le due figure stilizzate, si nascondono due pagine nere della Storia contemporanea. Le caricature, riconoscibili solo perché ne vengono citati i nomi nel titolo dell’opera, rappresentano due figure chiave dell’anno in cui fu prodotta Kartoffenköppe. Nel 1965 Lyndon Johnson ordina i bombardamenti del Vietnam del Nord. Nello stesso anno in Cina, il Presidente Mao dà il via alla Rivoluzione Culturale. Da una parte vediamo dunque il presidente americano, non solo direttore d’orchestra della Guerra in Vietnam, ma anche rappresentante del mondo capitalista se leggiamo l’opera dal punto di vista della divisione politica di quegli anni, dall’altra quello cinese, portavoce della forza opposta, quella comunista, da sempre avversaria dell’America. I due presidenti, rappresentanti di due mondi opposti, incarnano così la situazione durante la Guerra Fredda. A chiudere il quadro della spaccatura politica vi è la stessa patata, che dà forma ai due volti, interpretata come simbolo della Germania, paese originario di Polke e teatro di combattimenti nel dopoguerra. Puntini e linee, apparentemente innocui, fanno così riemergere l’importanza e la drammaticità degli anni della Guerra Fredda, di cui lo stesso autore è vittima.
Nel 1972 Polke realizza l’opera Mao, che rispecchia la poliedricità dell’artista. 
Il presidente cinese è al centro della composizione, ritratto su una bandiera rossa, decorata con motivi. Come vediamo l’artista si serve di uno dei simboli del comunismo, la bandiera rossa, per rappresentare quello che all’epoca era il simbolo stesso del comunismo. Il volto di Mao è posto al centro di un cerchio bianco che riproduce l’effetto delle luci da palcoscenico. Polke vuole ancora una volta ironizzare sulla posizione politica di Mao, al centro dei riflettori della Storia mondiale.


Anche Jim Dine si sentì attratto dalla figura di Mao Zedong. Nel 1967 realizza l’opera Drag - Johnson and  Mao
Jim Dine, Drag - Johnson and Mao,
1967, collage su carta, 86,9 x 122,5 cm,
Londra, Tate Modern Museum,
(www.tate.org.uk)
Le due figure sono ricavate da quotidiani e lavorate poi in post produzione. Anche Dine sceglie l’accostamento di quelli che potremmo definire gli uomini più influenti degli anni in cui è prodotto il lavoro. L’artista ha ingrandito su larga scala le immagini dei due leader e le ha poi affiancate con la tecnica del collage. Come vediamo, i due volti presentano una pigmentazione diversa. La puntinatura nitida e chiara del volto di Johnson indica una fonte originale in bianco e nero, mentre la struttura a nido d’ape presente su Mao è tipica delle immagini a colori .  Anche in quest’opera prevale l’ironia, suggerita dal trucco che l’artista applica ai due personaggi. Ombretto, gote rosse e nei che ci ricordano il volto di Marilyn e dello stesso Mao di Warhol, conferiscono ai presidenti l’aspetto di due drag queen, come suggerito dal titolo dell’opera o di due personaggi appartenenti al mondo dello spettacolo in generale. Questa rivisitazione non è nuova, tutti gli artisti finora analizzati hanno avuto infatti la tendenza a mettere in risalto la popolarità del presidente cinese, attraverso la trasfigurazione dell’immagine. Nuovamente, l’apparente leggerezza suggerita da tale trasfigurazione, nasconde una riflessione storica. Dine evidenzia il ruolo distinto dei due personaggi: da una parte Johnson coinvolto nella Guerra in Vietnam che annuncia di non ricandidarsi nel Marzo 1966, dall’altra Mao che guadagna fama attraverso la Rivoluzione Culturale. La diversità dei colori dei due leader non è pertanto casuale: Johnson che vede sfumare il proprio potere è ritratto in un pallido bianco, mentre Mao appare più scuro e vigoroso.

Gerald Scarfe, fumettista noto per i disegni satirici realizzati anche per le band britanniche Pink Floyd e The Beatles, ha raffigurato personaggi politici come Mao, Nixon, Reagan, Thatcher con la stessa ironia impiegata nelle vignette. 
Gerald Scarfe, Chairman Mao,
1971, pelle e legno,
Londra, The Cartoon Museum,
(www.neatorama.com)
Nel 1971 realizza la scultura Chairman Mao. Nell’opera vediamo raffigurata una sedia, o meglio un uomo-sedia, traduzione letterale di chairman (presidente). Già da questo primo elemento leggiamo un grande impiego di ironia da parte dell’artista. Mao non viene rappresentato nella solita posizione standard o coi tratti del volto trasformati: la sua trasfigurazione è totale, coinvolgente sia il piano fisico che politico. L’uomo che vediamo e che ci appare seduto è in realtà una continuazione dell’oggetto stesso. È come se fosse invecchiato su questa sedia dalla quale non riesce a staccarsi, come suggerisce la posizione delle braccia. Quest’uomo ha trascorso così tanto tempo seduto sulla poltrona da divenire sedia stessa. Il messaggio di Scarfe è un attacco al dispotismo del Presidente Mao, già all’epoca divenuto non solo portavoce e simbolo del comunismo cinese, ma rappresentazione del comunismo stesso. Mao non è il presidente della Cina, è la Cina.

In tempi contemporanei, la figura di Mao è ancora molto utilizzata. Non è possibile elencare qui la totalità degli artisti che ha usato o usa l’icona del Presidente come oggetto dei propri lavori, ci limiteremo dunque a parlare solo di alcuni. Le forme che assume il Grande Timoniere sono molteplici, come i messaggi che mandano le opere in cui compare.

Nel 2006 il botanico collezionista di stampe orientali Tom Kristensen produce M is for Mao
Tom Kristensen, M is for Mao,
2006, stampa su carta,
53 x 67 cm,
collezione dell’artista,
(www.ukiyo-e.org)
Kristensen si ispira all’antica tradizione dell’intaglio, nata in Cina tra il sesto e nono secolo. La tecnica, diffusasi in Occidente durante il Medioevo, permise la diffusione della cultura attraverso i libri. Nel XX Secolo la stampa assunse un ruolo indispensabile per il Partito Comunista Cinese e la sua propaganda. La linea di Partito, come abbiamo visto, veniva spesso supportata da poster colorati e scene di vita quotidiana. Il rosso in particolare esprimeva lo spirito comunista sempre vivo. Non a caso dunque Kristensen unisce molti degli elementi di cui si è parlato. Innanzi tutto è il rosso a prevalere, solo che l’idea venduta in questa occasione non è il comunismo, ma una delle catene di ristorazione più diffuse al mondo. Il carattere M che sta per Mc Donald’s è inciso come un carattere da intaglio e ha funzioni propagandistiche . L’artista accosta due grandi simboli, due icone, diverse ed opposte, e ne fa un solo elemento. Accanto alla M vediamo infatti non solo il volto di Mao, ma la stella che in questo caso simboleggia la Cina comunista. La critica dell’artista è probabilmente rivolta alla conversione della Cina al consumismo, pur rimanendo sempre nascosta dietro all’ideologia e a Mao stesso.

Una ulteriore rivisitazione della figura di Mao è proposta dall’artista statunitense Troy Gua.  
Troy Gua, The Michey Mao (Mickey Mouse + Chaiman Mao Zedong), 
2009, acrilico e resina su tela, 48 x 48 cm, 
collezione privata,
 (www.arttraffic.co.uk) 
L’opera The Michey Mao (Mickey Mouse + Chaiman Mao Zedong) fa parte della serie Pop Hybrids, prodotta nel 2009. I lavori dell’artista si propongono come una riflessione sul concetto di icona e sul suo rapporto con la collettività. In contrasto con la ripetizione iconografica proposta da Andy Warhol, Gua realizza fusioni di icone che creano un nuovo e unico personaggio. La nuova immagine, essendo il risultato dell’incontro di due icone, risulta perciò essere un ibrido. Gli ibridi pop di Gua sono definiti come la riduzione della personalità a logo, riciclo di due o più immagini al fine di creare una nuova collezione di forme . Così il Grande Timoniere Mao va ad assumere le forme di Mickey Mouse, mito del fumetto. Il risultato della fusione di due icone mondiali, è un Mao che non è più solo il simbolo della Cina, ma anche personaggio amato dai bambini, allo stesso modo Mickey Mouse aggiunge un certo carattere autoritario alla propria immagine.

Più complessa è invece l’interpretazione di David Foox, artista sudafricano appassionato di filosofia. Nell’opera Trinity Mao, Foox idealizza una nuova moneta con al centro tre volti di Mao. La banconota, ispirata ai Cento Yuan cinesi, trae elementi anche dal Dollaro americano.
David Foox, Trinity Mao, 2014, giclée su cotone, 13,9 x 31,7 cm, collezione dell’artista (http://www.redefinemag.com)

Come riferisce l’artista, il Mao a tre teste posto al centro della banconota, rappresenta la dittatura mentale delle diverse facoltà dell’umana percezione . I due volti a destra e sinistra possiedono un terzo occhio, posizionato al centro della fronte. Questi rappresentano rispettivamente creatività e logica, così come il doppio effetto negativo e positivo della ghiandola pineale, alludendo quindi all’abilità della mente umana di dotare gli oggetti inanimati di valore spirituale. Il Mao al centro è marchiato dal tetragramatron che simboleggia coscienza divina e l’immutabilità della chimica e della matematica. Sotto alle tre teste leggiamo la frase “In Mao we trust (Crediamo in Mao)”, in cui Mao si sostituisce all’originario God (dio) del Dollaro. Sopra al Presidente è riportato il taglio della moneta, otto, ripetuto tre volte, una per ogni Mao, numero fortunato secondo le credenze cinesi. La prosperità di cui tale numero vuole essere di buon auspicio, è ribadita anche dai caratteri in basso a destra: fusheng 福生. Ai lati della banconota troviamo ancora il tetragramatron, con dentro iscritta la piramide, presente ai lati del Dollaro.
Mao è così trasformato in divinità, o percepito come tale grazie alla ghiandola pineale rappresentata più volte. Foox utilizza l’immagine del Presidente e lo pone al centro di una nuova banconota, arricchita degli elementi filosofici e divini del Dollaro.
Mao è per l’artista la rappresentazione iconica del leader e la sua immagine ha determinato la forma dell’era contemporanea, lo accosta quindi all’economia americana esprimendo il desiderio di creare una moneta che unisca il mondo intero e l’augurio, rappresentato dalla scritta in cinese e dal numero otto, che ognuno di noi possa assistere a tale momento prima della morte.
Il Grande Timoniere ha fatto la sua comparsa anche nelle strade, dipinto dall’artista di strada argentino Ever (Nicolás Romero).
Ever, Senza Titolo, 2011, 
pittura murale, 
Buenos Aires, 
(www.driverlayer.com)

La pittura del giovane artista da alcuni anni riempie le strade di Buenos Aires e di altre città del Sud America.  Una caratteristica che ricorre nei personaggi che raffigura è la mancanza degli occhi, elemento indispensabile nella comunicazione.
Quando parliamo siamo soliti guardare il nostro interlocutore, per creare un ponte, una connessione che rinforzi la comunicazione verbale. Come riferisce Nicolás Romero, i suoi personaggi, essendo privati delle cavità oculari, sono bloccati, costringendo l’osservatore a creare un nuovo canale di connessione che li leghi ad essi . Mao non fa eccezione. Le sue visioni sono raffigurate in un caos di colori, come se l’artista volesse dare voce alla moltitudine dei pensieri che affollano la testa del Presidente. La scelta del personaggio, come spiega Romero, è dettata dalla volontà di capire la contraddizione del comunismo, affascinante ma al tempo stesso ricco di zone d’ombra. La frequenza nella rappresentazione di Mao, come di scene tratte dai poster di propaganda, vuole proporre dunque una riflessione politica, variabile a seconda del canale che si crea tra l’osservatore ed il personaggio. Ancora una volta Mao è il simbolo di un sistema politico che lo vede protagonista, sebbene siano trascorsi molti decenni dalla sua morte.

Pubblicità Citroën, 
2008, (www.news.bbc.co.uk)
Oltre agli autori di cui si è parlato, moltissimi altri hanno scelto il presidente cinese come materia della propria arte. Ne è un esempio Frank Kozik che ha utilizzato la sua immagine per la locandina di un concerto di Eddie Vedder e realizza sculture in resina raffigurandolo con le orecchie di Topolino, e David Szauder che invece propone l’icona di Mao come studio sulla perdita di memoria. Accanto ad essi troviamo anche alcuni artisti italiani: Andrea Petrone ad esempio ce lo propone attraverso la fusione con il volto di Totò, Giorgio Rizzi invece applica delle bruciature ai ritratti di Andy Warhol e Gianni Colosimo che ha prodotto un bassorilievo raffigurante una banconota con il suo volto. È inoltre comparso come mascotte pubblicitaria di Sony con lo slogan “The new revolution is digital” e Citroën, la quale ha dovuto presentare scuse ufficiali.










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